Poesie

Franco Carmelo Greco ha lasciato tre raccolte di poesie, due delle quali inedite. In questa pagina sono pubblicati i componimenti degli ultimi anni (1987-1996): Ultima divina ulisside (1987), Ma quando chiamare mi vuoi, Tu sola, amata mia, Don Chisciotte a Dulcinea (1996). A queste si aggiunge una traduzione di Vocacìon di Pedro Salinas.

Ultima divina ulisside

Trai auspici
all’antica sapienza
d’improbabili pellegrini,
viandanti d’arcani sentieri.

Fruga presagi
nei palpiti estremi
d’impraticabili
visceri sacrificali.

Affida progetti
al planar delle piume
librate, leggiadre,
sui dispetti dei venti.

Scruta orizzonti
d’uccelli stilizzati,
pittori
d’incerti domani.

Componi futuri
in dadi petrosi
orgogliosi
di rotolanti biancori.

Dissolvi insonnie,
dispendiose sodali,
negli enimmi
irrisolti
di complici sogni.

Tessi rapporti
di umani filati
in geometrici spostamenti,
e greci,
di carte smazzate.

Inventa calendari
di mitologia astrale,
di orme cifrate,
un tempo,
alle scansioni future.

Corri labirinti
minoici dipanando
le innumeri sortite
ai mentiti cenni
dei simulacri
di Arianne e Tesei.

Fibule antiche
rivesti,
rinnova
antichi rituali
augurali,
leggi nel mondo,
per me,
novissima sibilla flegrea,
i disegni
di quel che non è,
ancora,
e nel puro possibile,
ultima divina ulisside,
i miei giorni avvenire rendimi
incalcolati
da percentuali cromosomiche,
sciolti
da catene genetiche,
incommensurati
da unità elettroniche
chimiche o subatomiche.

    La certezza rendimi
    d’un incerto nuovo sole,
    per le categorie
    indeterminabile
    della nostra anagrafe,
    per i cerimoniali
    incontrollabile
    dei nostri comportamenti,
    per le burocrazie
    inspiegabile
    delle nostre convinzioni,
    per le ideologie
    insuperabile
    delle nostre esistenze.

La certezza rendimi
d’un incerto nuovo sole,
e a te dirigerò,
al tuo mare,
aequoreo ventre materno,
al tuo possibile amore
restituito.

Allora,
delfino d’abissi,
nel tuo smeraldo
sfiorerò
rapido
intimi fondali,
saggerò
di arene dorate
equatoriali distese,
berrò
avido
lustrali umori vitali.

    Imbarcherò voti
    da spargere petali
    alle bonacce e ai venti
    alle spume e ai furori,
    nella diffusa tua luminescenza,
    novissima sibilla flegrea
    mia ultima divina ulisside.

Ma quando chiamare mi vuoi

Se
a me d’accanto
una trasparenza di gelo
ti veste
d’astratto
le carni e la mente,
non chiamarmi amore,
chiamami Franco.

Se
negli occhi avverti
l’opaco peso
della mia immagine sfatta,
non chiamarmi amore,
chiamami Franco.

Se
nei sussurri
della tua coscienza
non concerti
nuovi suoni
di parole antiche,
non chiamarmi amore,
chiamami Franco.

Se
nei tuoi desideri
acquattata, non stani,
rabbiosa ed agile
morbida e notturna,
l’astuta volpe della tua vita
finzione del mio desiderio,
non chiamarmi amore,
chiamami Franco.

    Ma quando chiamare mi vuoi,
    non attender ch’io dica
    il mio nome,

se
in fondo all’anima
ti carezza il palmo
del mio sguardo,

se
sulle ciglia di velluto
ti palpita il tempo
del mio respiro,

se
nella testa ti suona
l’attesa del mio passo
dall’eco di lunghi corridoi.

    Ma quando chiamare mi vuoi,
    non attender ch’io dica
    il mio nome,

se
ti rassicura,
addirittura,
l’attenta mia disattenzione,

se
t’accendono
di pastello, le gote,
i miei dubbi d’amore,

se
t’inquietano
le mie fughe, in pensieri
vessillo di nevrosi.

    Se
    t’abbandoni,
    prima o poi,
    a un sorriso ricordo
    mai stanco,
    di me di te di noi,
    al suo vago tepore,
    allora non chiamarmi Franco,
    chiamami Amore.

Tu sola, amata mia

Segno
nei tuoi sorrisi
le orme
del tuo svanire;

traccio
negli arcobaleni
della tua voce
vaghe parabole d’ascolto;

tento
nei tuoi pensieri
la saldezza
d’improbabili ancoraggi;

azzardo
nei tuoi abbracci
l’incertezza
del tuo tenero possesso;

affido
al tuo prodigo disincanto
l’ipoteca
d’incerti futuri;

strappo
ad orizzonti fatati
le terre
della nostra storia;

ascolto
nel tuo silenzio
l’interdizione:

    non affiori
    alla vita
    la parola creatrice;

    induca
    passi fuggiaschi
    la parola ammaliatrice;

    dissolva
    nell’intermittenza
    la parola onnicomprensiva;

    neghi
    il mondo stesso
    la parola conoscitiva;

    s’involva
    in occasioni inette
    la parola performativa;

    si perda
    in locuzione artificiosa
    la parola viva.

Non voglio
disperato narciso
assordarmi
d’un mio verbo d’amor
disperante:
interrogo
le tue assenze,
esploratore
nei tuoi sparsi segnali
di gesti augurali:
tu sola, amata mia,
parola rivelatrice.

Don Chisciotte a Dulcinea

Canzone romantica

Se tu mi dici che la terra
pe’l gran rotar ti stordisce,
le manderò il mio Sancho
a farla immobile e silente.

Se tu mi dici che la noia
ti deriva dal cielo stellato,
sconvolgo tutto il creato
e falcio di netto la notte.

Se tu mi dici che lo spazio
tanto vuoto non t’aggrada,
dio in sella e lancia in resta
infilzerò di stelle il vento.

Ma se dici che ’l mio sangue
non è per te ch’in me scorre,
dissanguerò fino al pallore
e morrò benedicendo
te, Dulcinea.

Canzone da brindisi

Dio di bastardo, mia signora,
chi, per perdermi ai suoi occhi,
dice che basti un bicchiere
per mettere a letto il mio cuore.

Bevo alla gioia!
la sola compagna
che brilla ancor
nel mio bicchier.

Dio d’invidioso, amante mia,
chi geme, piange e impreca
che questo pallido amante
annacqua la sua ebbrezza.

Bevo alla gioia!
la sola compagna
che brilla
nel mio bicchier.

PEDRO SALINAS, Vocazione

Aprire gli occhi. E vedere
senza difetto né eccesso, ricolmo
nella luce chiara del giorno,
perfetto il mondo, completo.
Segrete misure reggono
libere grazie, abbandoni
fittizi, quella nuvola,
l’uccello che vola,
la fonte, il fremito del pioppo.
Sta bene maggio, compiutamente maturo.

    Tutto fedelmente. Ma io …
    Tu, in soprannumero. A guardare,
    e nulla più che guardare
    la bellezza compiuta,
    che non ha proprio bisogno di te.

Chiudere gli occhi. E vedere,
incompleto, tremante,
che può essere e non essere,
– masse informi, piani cupi –
senza luce, senza grazia, senza ordine,
un mondo non finito,
bisognoso, che mi prega,
o prega te o qualcun altro
di mettergli ciò che gli manca,
di dargli la perfezione.

    In quella sera luminosa,
    in quel mondo senza macchia,
    feci la mia scelta:
    quell’altro.
    E chiusi gli occhi.
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