Teatro Incontro

L’Associazione e Centro Studi “Teatro Incontro”a Caserta

Così Franco Carmelo Greco ricorda la nascita dell’associazione e centro studi “Teatro Incontro”, con sede a Caserta, nel saggio su Immaginario e pratica teatrale a Caserta dagli anni Settanta ad oggi: «Quando, all’inizio degli anni Settan¬ta, da poco stabilitomi in questa piccola, ordinata, ridente cittadina della “Campania felix”, volli soddisfare il mio personale ed un più generale bisogno di teatro, che avvertivo diffuso man mano che si allargava la cerchia delle mie amicizie e conoscenze, non ci pensai due volte: Napoli pareva lontana un tempo ed un danaro incalcolabili per le nostre semprevuote borse. Il suo teatro pubblico, terminate o singhiozzanti certe esperienze delle Accademie d’Arte drammatica e delle cantine d’avanguardia, da cui pure provenivo, era chiuso nelle prospettive d’un consumo e d’una “routine” arroccati nella difesa di costumi e pregiudizi socio-culturali ancora oggi largamente diffusi e già allora sufficientemente indigesti. Si avvertiva l’esigenza di ampliare anche a questa provincia casertana il dibattito sulle formule allora in voga di teatro come “servizio pubblico” e di “decentramento”, che parevano saltare a piè pari addirittura le esperienze della stessa città di Napoli, priva d’un suo Stabile, per interessare solamente le città italiane sedi già allora di burocratici Enti teatrali il cui modello culturale, in origine legato alla coppia Strehler Grassi, già aveva mostrato di non sapersi e volersi rinnovare. In Caserta esisteva un vuoto evidente e reale di esercizio, dal momento che proprio quando in essa si stavano prendendo in considerazione nuove prospettive d’espansione urbana, esistevano solamente un piccolo palazzetto dello sport e cinque sale cinematografiche a conduzione privata».
La Caserta di quegli anni non aveva circoli giovanili né luoghi d’incontro, se non quelli oratoriani e parrocchiali, ma si avvertiva la necessità di recuperare a un diverso uso i beni culturali e ambientali che circondavano la città (Casertavecchia, San Leucio, la Vaccheria e la corona di frazioni del capoluogo di provincia), oltre al Palazzo Reale e al suo Teatro di Corte, «una esistenza tanto più assurda quanto allora impraticata». Le amministrazioni pubbliche casertane, comunali e provinciali, ricorda Greco, «risultavano assolutamente indifferenti non solamente ad un reciproco collegamento sul problema delle iniziative di spettacolo, ma addirittura allo stesso teatro, se è vero che solamente l’EPT casertano, sulla spinta di distribuzioni estive di spettacoli, programmate dall’Assessorato Regionale al Turismo e Spettacolo, prese l’iniziativa di attivare, nel 1971, un “Settembre al Borgo”, come manifestazione annuale cui offrivano collaborazione il Comune e la Pro Loco di Caserta».
«Soprattutto, – scrive Greco – non ci pensai due volte, perché provenivo da esperienze di vita, di studio, di teatro in differenti città italiane e straniere ed avevo coltivato un mito alla rovescia: quello delle città di provincia come straordinariamente ricche di risorse, di iniziative, di capacità, di fantasia, tutte qualità invece interdette alle metropoli, quasi che le città di provincia fossero in attesa solamente che si desse loro la stura, al pari dei venti dell’otre di Eolo, o dei beni del vaso di Pandora, per liberare la creatività, la scrittura, l’immaginazione, proprio quella immaginazione che in quegli anni si sperava andasse al potere».

La promozione teatrale

Nacque così, in primis, il lavoro di ricerca e di studio sul teatro e sulla drammaturgia dell’ultimo dopoguerra, testimoniato dalla compilazione di centinaia di schede conservate presso l’Archivio del Teatro e dello Spettacolo dell’Università di Napoli. Fu fondata, poi, l’Associazione e Centro Studi “Teatro Incontro”, «autofinanziata e senza altri scopi se non quelli di una promozione teatrale che andò dalla chiamata di attori e di compagnie (da Franca Valeri a Mastelloni, da Benigni a Lucia Poli ed al fratello Paolo, da Roberto De Simone a Concetta e a Peppe e Gabriele Barra, da Casagrande a Rigillo a Sudano e Salines e Messeri e così via), all’organizzazione di gruppi teatrali di base, all’allestimento di spettacoli nel Teatro di Corte del Palazzo Reale (che per merito dell’Associazione fu riaperto agli spettacoli ed alla città, dopo la promozione a soprintendente ed il trasferimento in Sardegna della direttrice di allora, dott.ssa Asso, assolutamente contraria a tale disponibilità), nel Teatro Comunale (che invece, dopo l’uso che ne fece l’Associazione, per una serie d’incontri con Roberto De Simone e con la fotografia di Mimmo Iodice, chiuse del tutto per inagibilità e restauri), di mostre d’arte e teatro e scenografia (una, realizzata nella Cappella Palatina del Palazzo Reale, in collaborazione con la Fondazione Cini di Venezia, ed inaugurata con un convegno internazionale, ha circolato in Europa per quattro anni, ed il catalogo, intitolato come la mostra: Illusione e pratica teatrale, edito da Neri Pozza di Venezia, è stato tradotto in quattro lingue)».

Un moderno “Camion di Tespi”

Alle iniziative dell’associazione si unirono, ogni anno, dalle quattrocento alle seicento persone, che affollavano la sede di “Teatro Incontro” e il Teatro di Corte del Palazzo Reale, ma anche le numerose piazze dei centri della provincia. In tutti questi luoghi giunse, infatti, il moderno “Camion di Tespi” di “Teatro Incontro”: un camion con un “pianale” di dieci metri, una struttura in metallo e una copertura in tela che lo rendevano palcoscenico itinerante. «Lo dotammo di tiri, di un impianto di amplificazione, di luci, di un quadro-comandi sistemato dentro la cabina di guida, sopra la quale costruimmo una casetta in legno, in tutto simile a quella disneyana di Biancaneve», scrive ancora Franco Carmelo Greco.
«Impegnammo nell’iniziativa – prosegue Greco – tutte le nostre risorse economiche, nel tentativo di estendere all’intera provincia di Caserta la presenza ed il lavoro della nostra Associazione. Non ci fu il concorso, pur richiesto, di nessun Ente, e tantomeno dell’Amministrazione della città di Caserta, che paradossalmente fu l’unica di quelle a cui era stato offerto lo spettacolo, che allora costava solamente trecentomila lire, a non ospitarlo neppure per una sola rappresentazione».

Lo spettacolo con Benigni e Messeri

«L’idea dello spettacolo, intitolato Mi voglio rovinare, era di Marco Messeri, e vi avevamo lavorato insieme, utilizzando la sede dell’Associazione, in Corso Trieste, come albergo per gli attori provenienti da Roma, dalla Toscana e da Torino, e contemporaneamente come centro studi e come sede delle prove. Personalmente m’ero preoccupato di costruire un circuito teatrale, prendendo contatti con tutti gli amministratori delle città della provincia e mettendo insieme, alla fine, le “piazze” – in senso letterale – di Arienzo, Alife, Santa Maria a Vico, Mondragone, Santa Maria Capua Vetere, Recale, Marcianise, Carinola, Falciano, Cellole, Caiazzo, Casale di Carinola, Teano: la Compagnia si sciolse il quattordici di agosto, dopo tre mesi di lavoro, tra scrittura del testo e delle musiche, prove sempre “aperte”, registrazioni musicali, allestimenti tecnici, trovarobato, organizzazione, debutto e repliche, attraversando la provincia in lungo e in largo, numerosa e festante e sempre coinvolgente. La presenza “esplosiva” di Roberto Benigni, travolgente già allora, goliardico e dissacratore, eversore di luoghi comuni, figura allucinata e poetica, si accompagnava a quella di Marco Messeri, contadinescamente verosimile, in uno spettacolo che riusciva a stupire ogni volta che il camion entrava in un paese: la gente vi si assembrava intorno come se fosse entrato l’ennesimo venditore ambulante, per poi scoprire, gradualmente, il gioco teatrale in cui era coinvolta, condotto con grandi capacità d’improvvisazione da Benigni e Messeri. Noialtri, Gloria Ferrero, Elvio e Rosalba Accardo, Virginia Iorio, Oscar Fabrocile, i fratelli Valentino, il giovane tecnico delle luci Papa ed altri, facevamo corona in una avventura che ci arricchì tutti, ma non di danaro: la Compagnia si sciolse con un passivo di trecentomila lire, perché più d’una città non liquidò il dovuto cachet».

Il bilancio di un’esperienza culturale anticonformista

Si trattò di un’esperienza di teatro «vario, giovane ed ag¬gressivo, ironico e scanzonato, anti-conformista eppure colto e raffinato», dice Greco. «“Teatro Incontro” significò, in quegli anni Settanta, un auspicio ed un bisogno di cultura, di comunicazione, di partecipazione e, più ancora, un percorso di ricerca d’una identità e d’una autonomia per una “giovane” città in fase di crescita ormai rapida e già problematica: ci si voleva riconoscere in un teatro che emancipasse la provincia dal paternalismo deteriore e la inserisse in un circuito nazionale ed in nuovi flussi culturali. Si cercava, questi, di non renderli solamente funzionali ad una vuota promozione d’immagine, di convenzioni e rituali sociali, di un turismo passeggero e superficiale, in ultima analisi improduttivo se non addirittura controproducente e dannoso».
L’attività associativa e di spettacolo si interruppe perché, chiuso il Teatro di Corte e inagibile il Comunale, non c’erano più spazi disponibili, in città, dove proporre gli spettacoli di “Teatro Incontro” e promuovere la stagione teatrale dell’associazione. L’interruzione coincise con l’assegnazione a Franco Carmelo Greco della cattedra di Letteratura Teatrale presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, evento che avrebbe fatto gravitare, da allora in poi, attorno a Napoli le principali attività culturali promosse dallo studioso.

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