Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Via Monte di Dio 14
Napoli
Dipartimento di Filologia Moderna
Facoltà di Lettere e Filosofia
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Comune di Napoli
‘A Rivoluzzione!
Drammaturgie urbane per una rivoluzione in scena 1799-1999
Progetto di “celebrazione” teatrale della rivoluzione napoletana del ‘99
I. Il teatro ha dentro di sé una sorta di gene della vita, della sua vita: può esistere, può chiamarsi teatro, solamente se la letteratura drammatica che ne è occasione e forma letteraria si traduce in evento, si trasforma in fatto teatrale. Se si fa visione, come insegna la sua stessa etimologia. Se un pubblico “vede” ciò che avviene in uno spazio, nella combinazione di quel testo letterario con altri codici comunicativi ed artistici: il corpo, la voce, il suono, la luce, il movimento, la gestualità, la mimica, il costume, l’impianto scenografico e così via.
Il destino di ogni altro genere di comunicazione artistica suppone il rapporto fra due soggetti, mediato dal “mezzo” artistico: l’autore, appunto, e il suo lettore-fruitore-destinatario. Persino il cinema, che raccoglie gli spettatori in grandi ambienti, tende a isolare il rapporto fra lo schermo e ogni singolo spettatore. Per non dire della televisione o della attualissima tecnologia informatica, per i quali addirittura l’isolamento sfiora prospettive patologiche.
Il teatro, al contrario, per quel “gene” vitale e per quella sua identità “sociale”, ambisce a realizzarsi nella collettività, che ne è “forma”: le civiltà della Grecia antica, quella della Roma repubblicana, la società religiosa medievale, l’universo popolare della commedia dell’arte, il teatro elisabettiano, il teatro spagnolo del siglo de oro, il teatro della rivoluzione francese, quello della Russia d’inizio secolo, il teatro di Weimar e quello politico degli anni Sessanta costituiscono tappe fondamentali nella storia della civiltà, perché contrassegnate dalla sua alta testimonianza sociale. E nei teatri orientali tutto ciò è ancor più evidente, e si può persino capovolgere l’assunto: il fatto collettivo diviene “necessariamente” teatro, e come tale ricade sulla collettività.
Il teatro esiste solamente nella società che, a sua volta, ad esso affida un compito di aggregazione collettiva. Il teatro, ch’è fatto dalla collettività e ne è specchio, è da essa chiamato a ricompattarla.
Ed il teatro trasforma in sé il proprio “gene”, facendolo diventare “sociale”, da artistico ch’era in origine. O, forse, da sociale ch’era in origine, in artistico?
Non importa, ché questo compito del teatro è stato sempre presente in quei momenti della storia in cui il protagonista sociale e politico ha voluto che la propria immagine s’identificasse con il protagonista scenico: accadde così nell’antica Grecia, nel teatro della sua “polis”; così accadde con il teatro della rivoluzione francese; così è accaduto, almeno per reiterati tentativi, nel teatro delle rivoluzioni otto-novecentesche. L’attore della scena teatrale esce fuori dal suo spazio deputato e scopre di poter essere attore politico consapevole e protagonista della sua stessa storia, su di una scena dilatata. Dal suo canto, la “scena” politica si trova debitrice di quella teatrale per il prestito di “tecniche” della comunicazione e della persuasione che ne riceve, e per la capacità immaginifica ed aggregante che vi ritrova.
Ciò a cui il teatro di volta in volta assolve, infatti, è al suo ruolo di scuola di costume, di coscienza civile, di cultura, di partecipazione, di solidarietà. Termini e, ancor più, bisogni che anche oggi tornano ad imporsi con grande evidenza.
II. Ma forse quanto detto potrebbe essere un semplice esercizio retorico se non ci fosse un dato straordinariamente significativo nelle esperienze, prima, della rivoluzione francese dell’89 e, poi, della rivoluzione napoletana del ‘99: essere stato il teatro elemento centrale nell’immaginario e nell’azione degli “attori” culturali e politici di quegli eventi. Ad esso affidarono la funzione di ripensare i fatti, di definire i protagonismi, di sublimare ed amplificare gli accadimenti. Persino di purificare e celebrare il sangue versato.
Quando, nella bruciante esperienza partenopea, la città visse le sue giornate di fervore, i teatri furono chiamati a fare la loro parte attraverso il capovolgimento dei contenuti educativi degli spettacoli già in programma nei Reali Teatri: il Nicaboro in Yucatàn, che si dava al Teatro di San Carlo a celebrazione di Ferdinando IV, si continuò a dare per solennizzarne la fuga. E con funzione pedagogica che aveva il suo parallelo nell’uso del dialetto come lingua della partecipazione, così come lo praticavano sulla stampa la Pimentel Fonseca o il drammaturgo Gualzetti, vennero dati la Virginia di Alfieri, l’Aristodemo del Monti. E persino dopo quelle tragiche giornate, quando Monti vorrà ricordarne i protagonisti, I Pittagorici verranno a dar forma teatrale alle loro gesta, in abiti d’antichi greci delle colonie siciliane. Allo stesso modo, quella Napoli offrì gestazione alle fantasie teatrali rivoluzionarie di Francesco Saverio Salfi, il Salfi del Ballo del Papa, ed al Pulcinella da quacchero di Jerocades.
In Napoli, nei giorni della rivoluzione, si ribattezzarono i Reali Teatri in Teatro Nazionale e Teatro Patriottico, senza che vi fosse il tempo che il cambiamento di denominazione comportasse anche un mutamento di programmi o, come dicevamo, un mutamento di tipo “genetico”: lo svolgersi d’un evento che collegasse la scena alla sua platea, e la richiesta, da parte di tale platea, che la scena servisse a plasmarla.
Ma di ciò i rivoluzionari francesi e napoletani ebbero coscienza e si fecero portatori, ciascuno per la propria parte e con le possibilità che loro offrirono gli accadimenti.
Forse è opportuno che anche oggi, nelle celebrazioni di quegli eventi, del pensiero che li alimentò, del sacrificio che li suggellò, questa funzione civile e sociale, comunicatrice e aggregante del teatro venga recuperata sia nelle sue forme storico-scientifiche, sia in quelle più immediatamente “fattuali”: ricreare quel teatro degli eventi, ripensati socialmente e vissuti collettivamente, che si faccia costruttore di coscienza civile e politica, e restituisca un protagonismo, sulla scena contemporanea della storia d’Italia e d’Europa, a soggetti che invece appaiono del tutto cancellati persino dalla stessa nostra complessa e problematica storia urbana.
III. Il progetto prevede che si tengano una serie di manifestazioni da avviare nel prossimo novembre 1998, ma preparate già a partire dall’imminente periodo luglio-settembre.
Le manifestazioni consistono nell’allestimento e nelle rappresentazioni di dodici atti unici commissionati ad altrettanti scrittori.
Esse avrebbero luogo nell’Università di Napoli “Federico II”, presso il Teatro Galleria Toledo, acquisito per l’iniziativa, e successivamente, itineranti, nelle scuole superiori di Napoli, della Campania e dell’Italia meridionale, oltre che nelle sedi in cui opera con le sue scuole l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.
Le rappresentazioni verrebbero organizzate e distribuite in collaborazione con le Istituzioni scolastiche locali, secondo tappe e calendario programmati, con cadenza regolare, fino al mese di maggio del 1999, nel quale si conclusero i fatti rivoluzionari napoletani del Settecento: in tale occasione, le manifestazioni avrebbero luogo in Napoli, e vivrebbero sotto forma di “eventi” per dodici consecutive giornate in altrettanti spazi cittadini, identificati come spazi della rivoluzione del ‘99.
Ogni giorno, annunciata da salve di cannone sparate da una nave della Marina ancorata nel golfo, scoppia la “rivoluzione”, ed i dodici spettacoli ruotano nelle dodici “piazze” prescelte.
Punto di partenza del progetto è la scrittura, commissionata ad altrettanti drammaturghi, di testi “sulla” rivoluzione del ‘99.
All’iniziativa hanno dato la loro adesione numerosi drammaturghi e scrittori e registi e scenografi, già interpellati, e alcuni fra essi debbono solamente sciogliere le ultime riserve circa un sicuro impegno di scrittura/regia: Manlio Santanelli, Erri De Luca, Mariano Rigillo, Enzo Moscato, Jean-Nöel Schifano, Paolo Puppa, Giuseppe Ferrandino, Giorgio Prosperi, Andrea Camilleri, Pappi Corsicato, Francesco Silvestri, Franco Autiero, Franco C. Greco, Antonio Capuano, Vincenzo Salemme, Marco Manchisi, Giuseppe Rocca, Paolo Petti, Roberto Russo, Giuseppe Cassieri, Luca De Fusco ed altri.
Ciascuno d’essi scriverà, interpreterà o dirigerà un testo teatrale per uno o più personaggi, in un solo atto, che “ponga in scena” la rivoluzione in una prospettiva “minimale”, di durata contenuta tra i 50 ed i 70 minuti.
Ogni testo potrà essere impostato e risolto secondo stili e caratteristiche personali, ma sperimenterà con gli altri, al di là della scelta di racconto “minimalista”, un “input” comune: la notizia che è scoppiata la rivoluzione.
Così, tutte le rappresentazioni saranno racconti d’una “notizia” e della successiva reazione, e tutti egualmente “contemporanei” ad essa e fra loro.
Sarà come ritrovare, per la rivoluzione di allora, la forma d’un tempo che non ci fu, la possibilità di dar corpo a fantasmi che non ebbero il tempo di essere evocati.
E tutto sarà immaginato per i giovani e per la città. Ecco in quale quadro e con quale regia.
Il Centro Universitario Teatrale dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” tenterà di coinvolgere tutte le altre scuole di teatro napoletane e della regione (il Centro Universitario Teatrale dell’Istituto Universitario Orientale, l’Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Bellini, la Scuola di Teatro di Guglielmo Guidi, l’Università Popolare dello Spettacolo, la Scuola di Teatro di Notarangelo etc.) per impegnarle nell’allestimento dei testi elaborati, sotto la guida di registi professionisti, ma costituirà soprattutto formazioni di teatranti giovani misti con professionisti e formazioni teatrali di professionisti, i quali saranno chiamati a realizzare, nel biennio ‘98-’99, messinscene scolastiche di questi testi presso le scuole concordate con i Provveditorati della città e della Regione e con la Soprintendenza Scolastica Regionale, con le Amministrazioni Provinciali di Napoli e della Campania e presso le sedi di Scuole patrocinate dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici nell’Italia meridionale.
Gli spettacoli teatrali, nelle scuole in cui saranno presentati, verranno di volta in volta preceduti da letture drammatiche di brani di letterati e filosofi o di documenti napoletani del Settecento, anch’essi elaborati secondo un preciso programma, a loro volta introdotti e commentati da uno studioso della nostra Università.
Di questa esperienza, particolare e decentrata, sarà data testimonianza in un video realizzato “montando” le riprese effettuate in ogni sede di spettacolo. Il video sarà successivamente restituito alle scuole come materiale di ulteriore analisi e riflessione, accompagnato dalla versione in CD-Rom della Mostra documentaria sulla Rivoluzione del 1799 che l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ha allestito e aperto in varie località italiane e straniere. Il CD-Rom, peraltro, avrà anche autonoma e più ampia diffusione.
A partire da novembre 1998, presso il Teatro Galleria Toledo di Napoli, in Via Concezione a Montecalvario, avranno inizio alcuni ateliers, in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia, aperti agli studenti e ai giovani della città, nei quali si attueranno forme di didattica differita: Teatro e storia, Musica e storia, Cinema e storia saranno i percorsi entro cui ciascuna delle cattedre indicate coniugherà e dialettizzerà con le altre lo sviluppo e l’approfondimento del tema comune: teatro, cinema e musica nei loro rapporti con le rivoluzioni del decennio 1789-1799.
Gli ateliers, di durata annuale, saranno condotti dai docenti delle discipline, proff. F. C. Greco, R. Di Benedetto e P. Iaccio, con la collaborazione di attori, di musicisti e con il sussidio di proiezioni cinematografiche: letture drammatiche, esecuzioni ed esemplificazioni musicali, proiezioni cinematografiche renderanno l’esperienza rivoluzionaria storica una funzione di crescita della coscienza civile per il tramite dell’esperienza estetica in cui di volta in volta essa avrà saputo prendere forma.
Altrettanto “aperti” saranno i lavori di allestimento e prova delle compagnie formate per la messinscena degli atti unici, che saranno invitati a lavorare nello stesso teatro: ad essi si parteciperà per conoscerne la forma drammaturgica ed il linguaggio, per discuterne l’interpretazione storica, per interrogarsi sulla necessità ed i modi della messinscena, e soprattutto per portare in superficie le dinamiche di “gruppo” capaci di accomunare nell’esperienza attori e spettatori e di porli in relazione con i temi “rivoluzionari”. A questo fine parteciperà ai lavori anche una équipe di psicologi.
A partire da novembre 1998, verrà settimanalmente pubblicato un “foglio”, ad imitazione del “Monitore napoletano” diretto dalla Pimentel Fonseca, intitolato “Monitore teatrale del ‘99”: sulle due facciate troveranno posto alcuni brani del giornale di allora, con lo sviluppo dei temi di maggiore interesse e, se possibile, attualità culturale e politica e civile, e le cronache delle attività in corso.
Contemporaneamente, si identificheranno gli “spazi” napoletani della rivoluzione, sia privati che pubblici, nei quali saranno proposti e rappresentati, secondo un calendario prefissato, tutti i testi, una volta ultimati, in occasione delle celebrazioni del maggio 1999.
In occasione delle giornate rivoluzionarie, infatti, in un gruppo di dodici giorni consecutivi, con la auspicata collaborazione della RAI di Napoli, sarà dato in radiofonia un “Monitore teatrale del ‘99” cioè un “notiziario giornaliero della rivoluzione” dello stesso genere di quello già in corso di pubblicazione, il quale riprenda dai fogli del tempo le cronache degli eventi rivoluzionari e che annunci le “azioni” teatrali coordinate che chiuderanno il biennio celebrativo, anch’esse in forma di eventi a cui possa partecipare la ritrovata società civile degli spettatori.
I notiziari radiofonici giornalieri ospiteranno la lettura dei numerosi catechismi: teatrale, rivoluzionario etc., che furono prodotti in Napoli alla fine del Settecento.
Nelle stesse giornate, in dodici spazi tra quelli identificati come “spazi della rivoluzione”, alla stessa ora in cui per la città si diffonderà la notizia della sua “esplosione”, con lo sparo a mare delle sei salve di cannone, ripetuto ogni sera per dodici sere, avranno luogo, in contemporanea, le dodici rappresentazioni e, nei giorni successivi, tutte ruoteranno e si scambieranno la scena e lo spazio, fino a completare il “giro” cittadino.
Per dodici giorni la città sarà “occupata” da eventi della rivoluzione, con lo stesso rituale delle salve di cannone e delle rappresentazioni, e ne diventerà attrice e spettatrice.
Contemporaneamente, riprese televisive registreranno gli eventi unificandoli in un unico montaggio di storie, il quale risolva in questa scelta “documentaria” la simultaneità del loro svolgimento. O, anche, costruiranno, con inviati speciali sui luoghi degli eventi e con collegamenti successivi da uno studio-ponte, una sorta di servizio di cronaca in diretta degli avvenimenti.
Se, invece, si vorrà conservare la dimensione-spettacolo anche all’intervento televisivo, si potrà fare della “troupe” un elemento aggiuntivo della funzione-raccordo dei messi che passano da una piazza all’altra erigendo l’albero della libertà e confermando la vittoria della rivoluzione giacobina: l’occhio della telecamera sarebbe tra i giacobini, come uno di loro, e darebbe una visione “unilaterale” e suggestiva degli eventi.
Le riprese televisive, comunque, dovranno dare vita ad un filmato unico ed irripetibile: un omaggio che trascriva e rilegga, nella nostra contemporaneità, l’auspicio civile e pedagogico della rivoluzione che non sopravvisse, di due secoli fa.
Se dovesse prevalere la prospettiva giornalistica, la “logica” del montaggio dovrebbe essere quella d’un servizio di cronaca sui fatti accaduti nelle giornate: un reportage, un’inchiesta, un servizio che tratti la “fiction” come documento di attualità e ritrovi i testimoni, i protagonisti, gli inviati, le scene, i filmati, le dichiarazioni, le confessioni, le lacrime, la paura, l’euforia, i personaggi della Storia, la città, le forche… Naturalmente, nel segno della contemporaneità: senza costumi d’epoca, senza datazioni, senza distanza.
I testi teatrali elaborati saranno oggetto d’una pubblicazione intitolata: «‘A Rivoluzzione! Drammaturgie urbane per una rivoluzione in scena. 1799-1999».
IV. L’intero progetto, ideato e promosso da Franco C. Greco, sarà organizzato, coordinato e condotto a termine da lui e dai suoi collaboratori del Centro Universitario Teatrale – Spaziolibero e dall’Associazione e Centro Studi Teatro Incontro / Archivio del teatro e dello spettacolo.
Il Centro Studi / Archivio svolgerà il ruolo di referente degli Enti e delle Istituzioni che concorrono alla realizzazione del progetto, sia per la parte amministrativa ed organizzativa, che per la Redazione scientifica alla quale saranno demandati tutti i compiti di allestimento, scrittura ed illustrazione storico-scientifica nelle diverse fasi del progetto e nella diversità dei mezzi da mettere in opera (dossier, dépliants, quaderni di lavoro, materiali illustrativi in immagini, diaproiezioni, lavagne luminose, elaborazioni di testi a computer, ricerche e registrazioni videomusicali, CD-Rom, messa in opera e stampa del volume drammaturgico sulla rivoluzione, sceneggiatura del video sulle rappresentazioni scolastiche decentrate, etc.).
Franco C. Greco