Greco, la teatralizzazione del reale
di Nicola De Blasi
A dieci anni dalla morte dello studioso napoletano un convegno ne ripercorre la figura e l’opera tra vita, ricerca scientifica e scena.
Della vasta e intensa attività di storico del teatro di Franco Carmelo Greco, scomparso dieci anni fa, resta ampia testimonianza nei suoi numerosi lavori che negli anni hanno rappresentato altrettante aperture innovative verso aspetti della storia del teatro, poco o per nulla esplorati in precedenza. Dei suoi interessi di studioso si tratterà lunedì 15 (Aula Pessina, Edificio Centrale della «Federico II», ore 14.30) nel convegno «Scrittura teatrale e pratica della scena», organizzato dal Dipartimento di Filologia moderna e dal Master di Letteratura scrittura e critica teatrale, a cui parteciperanno tra gli altri Raffaele Giglio, Matteo Palumbo, Stefano Manferlotti, Antonio Saccone, Francesco Cotticelli, Geo Nocchetti, Tato Russo, Giuseppina Scognamiglio, Patricia Bianchi, Pasquale Sabbatino, Virginia Greco. Nel suo campo privilegiato di studi, il teatro napoletano, che pure non era inesplorato, Franco Greco ha applicato un metodo di lavoro che fa del teatro una via privilegiata di accesso alle diverse epoche storiche, alla vita sociale e culturale, all’immaginario collettivo; in questo non facile tragitto egli era favorito da due pilastri costitutivi che sostenevano la sua personalità di studioso: la dimestichezza con la scena, coltivata, sin da giovane, attraverso una diretta esperienza della vita del teatro e il rigore metodologico derivante dalla scuola di Salvatore Battaglia. Questo secondo elemento gli ha sempre permesso tra l’altro, grazie al senso della storia e della filologia, di superare un limite spesso insito in un certo genere di studi in cui i discorsi sul teatro rischiano talvolta di restare confinati all’interno del teatro.
Tra gli studi di Franco Greco un piccolo monumento è il Teatro napoletano del ’700 (Pironti, 1981), in cui risaltano le implicazioni di metodo fissate nei due sottotitoli: «Intellettuali e città fra scrittura e pratica della scena» e, subito dopo, «Studi e testi». Proprio nell’ultimo elemento del titolo, i testi, si riconosce la base dell’intera opera, che convoglia l’attenzione verso la cultura del Settecento attraverso La Moneca fauza e La gnoccolara di Pietro Trinchera, L’Annella di Gennaro D’Avino, Lo Bazzareota di Domenico Macchia, e l’opera anonima Lo Vòmmaro. Non stupisce inoltre che la ricostruzione sia completata da una fitta appendice che in forma di materiali propone una supplementare raccolta di testi, che vanno dalla Quadriglia de li pisciavinnole (1770) a documenti della censura.
Meno noto di quanto non si possa credere era, prima degli studi di Greco, il panorama del teatro napoletano ottocentesco, a cui è dedicata l’opera La scena illustrata. Teatro, pittura e città nell’Ottocento (Pironti, 1995), che sin dal titolo evidenzia il nesso tra il teatro e l’immagine di una città, ripresa dal vero dai pittori dell’Ottocento. Alla sistemazione storica d’insieme e all’edizione di testi anche rari, di autori come Filippo e Salvatore Cammarano, Antonio Petito, Francesco Gabriello Starace e altri, che si affiancano ai più celebri Scarpetta, Torelli, Bracco, Di Giacomo, si aggiunge qui una selezione di illustrazioni, a cura di Stefania Maraucci, e di dipinti con relative schede critiche curate da Isabella Valente: ne risulta un’illuminazione vicendevole tra le pitture e i testi. Sfogliando La scena illustrata si entra dunque in quell’ambiente cittadino a cui si collegavano opere «realisticamente teatrali», per riprendere un’efficace e sintetica formulazione coniata da Greco per connotare il teatro di Eduardo De Filippo. Allo stesso studioso, del resto, può essere ben adattata una sua osservazione su Eduardo, al quale egli, nel volume, purtroppo postumo, Eduardo 2000 (Edizioni scientifiche, 2000), riconosceva la capacità di «cogliere la verità sotto la teatralizzazione del reale, anzi, suo tramite». Così Franco Greco, attraverso la teatralizzazione del reale, letta con gli strumenti del filologo e dello studioso di teatro, ricostruiva la verità della storia, grazie anche – non dimentichiamolo, perché faremmo torto all’amico di cui ancora sentiamo l’assenza – a un contagioso entusiasmo e a una profonda umanità.
(“Il Mattino”, 12 dicembre 2008, p. 48)